Il grande valore della Comunione spirituale e il desiderio del Cuore di Gesù che i fedeli si comunichino sacramentalmente ogni giorno
«Se qualcuno, sia con pubbliche istruzioni, sia con privato consiglio, allontana dalla Santa Comunione un'anima che non è in peccato mortale, impedisce e interrompe le delizie del mio Cuore».
L’esempio di Santa Teresa di Calcutta. Pur essendo una promotrice della Comunione sulla bocca e in ginocchio, nelle occasioni in cui – per ragioni sanitarie – le è stato chiesto di riceverla sulla mano, si è adattata alle richieste dell’Autorità ecclesiastica e non si è limitata a fare la Comunione spirituale.
Indice
La Comunione sacramentale è più perfetta di quella spirituale
In questo periodo di pandemia, specialmente quando non era possibile partecipare alla Santa Messa, molti fedeli hanno scoperto la lodevole pratica della “Comunione spirituale”, raccomandata da tanti santi.
La Comunione spirituale non è soltanto una modalità di comunicare al Corpo e al Sangue di Cristo quando non possiamo accedere al sacramento. È altresì una disposizione fondamentale che deve sempre accompagnare la Comunione sacramentale. Il Concilio di Trento, infatti, insegna che ogni Comunione sacramentale deve al contempo essere spirituale, deve cioè essere accompagnata da un vivo desiderio di ricevere Gesù nel proprio cuore. Anzi, lo stesso concilio ricorda che se non c’è questo desiderio e la Comunione viene ricevuta «solo sacramentalmente» è vana: è la Comunione dei «peccatori».
Più in generale, secondo il Concilio di Trento ci sono tre modi di comunicarsi: un primo modo illecito: solo sacramentalmente; un secondo modo lecito benché imperfetto: solo spiritualmente (cioè facendo la Comunione spirituale); un terzo modo perfetto: sia sacramentalmente che spiritualmente.
Santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa (1347-1380)
Questa dottrina riprende l’insegnamento di SAN TOMMASO D’AQUINO nella Summa Teologica.
Il Dottore della Chiesa afferma esplicitamente che la Comunione sacramentale «produce l’effetto del sacramento più perfettamente del solo desiderio», cioè della sola Comunione spirituale(ST III, q. 80, 1).
I confessori non dovrebbero limitarsi a dire ai fedeli “fai quello che ti senti”, ma consigliarli tenendo conto delle direttive della Chiesa
Tutto questo deve essere tenuto bene presente oggi, in cui si registra talora un abuso della pratica della Comunione spirituale, come se fosse una semplice alternativa alla Comunione sacramentale. Alcuni, ad esempio, per il fatto che non possono ricevere la Comunione in bocca si astengono saltuariamente o a tempo indeterminato dalla Comunione sacramentale, pensando di ottenere gli stessi frutti spirituali.
Ma davvero è conveniente astenersi dalla Comunione spirituale per ragioni rituali, considerato che per la Chiesa è del tutto lecito ricevere la Comunione sulla mano? Più in generale: è conveniente astenersi dalla Comunione sacramentale a tempo indeterminato se non abbiamo sulla coscienza peccati gravi?
A queste domande è difficile rispondere in modo generale. Ogni fedele dovrebbe, infatti, cercare di rispondere anzitutto “in foro interno”, cioè nell’ambito della propria coscienza, aiutato da un confessore. Tuttavia, è utile ricordare che in questo discernimento i confessori non dovrebbero seguire dei pareri personali e non dovrebbero limitarsi a dire al fedele «fa’ ciò che ti senti!», ma offrire criteri tratti dal Magistero e dall’insegnamento dei santi Dottori della Chiesa. Nel momento in cui un fedele dovesse rendersi conto le indicazioni di un confessore sono in contrasto con l’insegnamento ufficiale della Chiesa, il fedele dovrebbe “in coscienza” non seguire quelle indicazioni.
La posizione ufficiale della Chiesa sull’importanza della Comunione sacramentale frequente e quotidiana (per arginare il giansenismo)
La posizione ufficiale della Chiesa su questo tema è molto chiara ed è peraltro suffragata anche dall’insegnamento dei santi Dottori e dalla letteratura mistica.
Molte delle direttive in materia sono state date in risposta a una delle tendenze più perniciose che ha afflitto la Chiesa negli ultimi secoli: il GIANSENISMO. Questa tendenza è ancora presente oggi, anche presso alcuni confessori, e ciò spiega il motivo per cui vi sono persone che a cuor leggero si astengono per lunghi periodi o per motivi banali dalla Comunione sacramentale.
Padre J. Duvergier de Hauranne, uno dei principali esponenti del giansenismo francese, che esortava i fedeli a limitarsi alla Comunione spirituale perché la Comunione frequente – a suo parere – causava danni alla vita spirituale
Il giansenismo è estremamente pericoloso perché si camuffa sotto l’aspetto di un edificante movimento devozionale. Esso talora si richiamava (come avviene ancora oggi) a esperienze pseudo-mistiche e a presunte rivelazioni private (in cui potrebbe a volte esserci anche lo zampino di satana) accordando ad esse maggiore importanza rispetto allo stesso Magistero ecclesiale.
Il giansenismo propugna una lettura radicalmente negativa della natura umana e parla malvolentieri della misericordia di Dio e dell’Amore del Cuore di Cristo. Afferma che ci si deve accostare raramente al Sacramento della Comunione e solo dopo una prolungata e accurata preparazione, anche di molti giorni, settimane o mesi.
L’idea di fondo è che l’Eucaristia è un sacramento riservato ai “puri”, alle persone veramente devote e che hanno alle spalle un robusto cammino di perfezione. I giansenisti, perciò, omettono volutamente di dire che questo Pane santo cancella i peccati veniali e che solo il peccato grave formalmente ci impedisce di riceverlo. Inoltre, asseriscono che è necessario fare precedere ad ogni Comunione il sacramento della Confessione.
In tutto questo, come in ogni eresia, la verità è mescolata con la menzogna.
È certamente raccomandabile che ogni Comunione eucaristica sia fatta precedere da una debita preparazione (un aspetto purtroppo oggi trascurato nella catechesi e nella predicazione…); così come è vero che se si hanno sulla coscienza dei peccati gravi, non ci si deve assolutamente accostare al Sacramento. In questo caso è necessario prima confessarsi, come prescrive a chiare lettere il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1385:
«Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione».
Tuttavia, non è conforme alla retta dottrina cattolica affermare che l’Eucaristia è un Pane riservato ai “puri”, oppure che è sempre necessario che la Comunione sia preceduta dalla Confessione o che ricevere la Comunione tutti i giorni non è opportuno, perché essendo “il Pane degli Angeli” non ne siamo degni.
Non è conveniente astenersi dalla Comunione sacramentale solo perché ci si sente “indegni”
Qui c’è una falsa idea di umiltà! L’umiltà non consiste tanto nel dire “sono indegno” e perciò mi tengo lontano da Gesù e dal Sacramento del suo Amore, limitandomi alla Comunione spirituale. La vera umiltà consiste piuttosto nel dire: proprio perché sono indegno, infermo e malato spiritualmente, ho ancor più bisogno di questo farmaco di immortalità che è la Santissima Eucaristia!
Per questo la liturgia fa dire a tutti i fedeli, prima di accostarsi alla Santa Comunione:
«O Signore, non sono degno di accostarmi alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato!»
E per questo San Tommaso pregava con le parole:
«Mi accosto al Sacramento del Figlio tuo unigenito come infermo al medico della vita, come immondo al fonte della misericordia, come cieco al lume della chiarezza eterna, come povero e bisognoso al Signore del cielo e della terra».
La vera umiltà consiste nell’abnegazione dei propri pensieri e umori soggettivi per aderire consapevolmente e liberamente all’insegnamento di Cristo attraverso la santa Chiesa, che raccomanda la Comunione sacramentale frequente!
Papa San Pio X (1835-1914)
È quanto ha stabilito papa San Pio X nel 1905 con il Decreto Sacra Tridentina Synodus, richiamando il magistero del Concilio di Trento, il quale desidera che
«“ad ogni Messa, i fedeli che vi assistono non si accontentino di fare la comunione spirituale, ma ricevano anche sacramentalmente l’Eucaristia”. Queste parole mostrano assai chiaramente quanto la Chiesa desideri che tutti i fedeli s’accostino ogni giorno a questo banchetto celeste, onde riceverne più abbondanti frutti di santificazione».
Questo decreto è stato voluto da San Pio X proprio in risposta al giansenismo «che aveva guastato anche gli animi buoni, sotto il pretesto dell’onore e della venerazione dovuti all’Eucaristia» e che non era ancora scomparso completamente (DS 3378).
Il decreto, come detto, rimanda al Concilio di Trento e al suo insegnamento inequivocabile:
«Il santo Concilio desidera che ad ogni Messa i fedeli presenti si comunichino non soltanto spiritualmente, con il desiderio interiore, ma anche sacramentalmente, attraverso il ricevimento dell’Eucaristia, che apporta loro più abbondantemente i frutti di questo sacrificio» (DS 1747).
La Comunione sacramentale frequente è raccomandata come antidoto al peccato
Il decreto Sacra Tridentina Synodus ricorda altresì la ragione per cui la Chiesa raccomanda la Comunione sacramentale frequente: perché è un antidoto che ci libera dalle colpe quotidiane e che ci preserva dai peccati mortali.
«Il desiderio poi di Gesù Cristo e della Chiesa che tutti i fedeli cristiani accedano ogni giorno al sacro convito, consiste soprattutto in questo: che i fedeli cristiani congiunti a Dio per mezzo del sacramento, da questo prendano forza per reprimere la libidine, per purificare le colpe lievi che ogni giorno sopravvengono, per impedire peccati i più gravi ai quale è esposta l’umana fragilità; non è invece principalmente per darsi pensiero di Dio con onore e venerazione, e neppure perché questo sia per coloro che si comunicano come una ricompensa o un premio delle loro virtù. Per questo il concilio di Trento chiama l’eucarestia “l’antidoto, con cui essere liberati dalle colpe d’ogni giorno e preservati dai peccati mortali” » (DS 3375).
Parafrasando le parole del decreto, possiamo dire che i giansenisti – di oggi e di ieri – insegnano che l’Eucaristia è il sacramento riservato ai santi, che serve prima di tutto «per darsi pensiero di Dio con onore e venerazione», e che va ricevuto solo se si mettono in atto scrupolose misure e attenzioni devozionali e rituali, come se fosse «una ricompensa o un premio» per “i migliori”.
Non la pensava certo così sant’Agostino quando affermava: “Ogni giorno pecchi, devi dunque comunicarti ogni giorno” oppure quanto, commentando la richiesta del Padre nostro “Dacci oggi il nostro pane quotidiano“, affermava che “l’Eucaristia è il nostro pane quotidiano“, che dovremmo ricevere perciò ogni giorno (Sermones 57,7,7).
Se dico «non posso riceverti sacramentalmente» devono esserci veri motivi che mi impediscono di ricevere il Sacramento
In linea con Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino, nella Somma Teologica, pone il quesito: “Se sia lecito astenersi del tutto dalla comunione” e risponde affermando che nessuno è formalmente obbligato a comunicarsi sacramentalmente (se non entro i limiti stabiliti dai precetti della Chiesa), ma è tenuto a comunicarsi “almeno spiritualmente”, nondimeno se la Comunione spirituale è sincera il “desiderio” di ricevere il sacramento deve necessariamente portare a riceverlo «quando si presenta l’opportunità», altrimenti questo desiderio «sarebbe vano» (III, 80, 11).
Si noti che la Chiesa, nella sua sapienza materna, si guarda bene dall’imporre un obbligo della Comunione sacramentale perché ci sono fedeli che non sono nella condizione di poterla ricevere, non soltanto per motivi morali, ma altresì perché vivono in regioni dove non possono partecipare alla santa Messa (come avviene ancora oggi in alcuni paesi a maggioranza islamica). Ma i fedeli che hanno “l’opportunità” di poterla ricevere come possono dire nella formula della Comunione spirituale «non posso riceverti sacramentalmente» mentre in realtà «possono»? Come possono pronunciare delle parole che non corrispondono alla loro reale condizione? Perché, se non ci sono impedimenti morali oggettivi per comunicarsi non lo fanno? In questo caso, dice san Tommaso, il desiderio della Comunione spirituale è “vano”.
Il “digiuno eucaristico” per ragioni devozionali andrebbe fatto in accordo con il proprio confessore e per un tempo limitato
È pur vero che, d’accordo con il proprio confessore, un fedele può decidere di praticare un “digiuno eucaristico“, cioè di astenersi per un certo tempo dalla Comunione sacramentale, perché questo digiuno può favorire un accostamento più umile e fervoroso al Sacramento. Ma si dovrebbe trattare di situazioni eccezionali.
Ricordiamo, infatti, che astenersi dalla Comunione sacramentale e preferire quella spirituale è sempre certamente conveniente nel caso ci siano impedimenti oggettivi: a causa dell’interruzione delle celebrazioni eucaristiche (come è accaduto durante la pandemia), per un problema di salute e di infermità, a causa di un peccato grave o di una condizione di vita che impedisce in modo permanente l’accesso al sacramento, come avviene per le coppie di divorziati-risposati. Circa quest’ultimo caso, fu Benedetto XVI ad lasciare intendere che è possibile la Comunione spirituale per i conviventi, pur senza affermarlo esplicitamente, laddove disse: «Anche senza la ricezione corporale del Sacramento», i fedeli conviventi possono essere «spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo» (VII Incontro mondiale delle famiglie, Milano 2 giugno 2012). Infatti, come insegna il Concilio Vaticano II, possono esserci diversi gradi di comunione con Cristo e con la Chiesa, ed è chiaro che in questo caso si tratta di una comunione imperfetta e parziale.
In altri casi, dove non ci sono impedimenti oggettivi – fisici o morali –il fedele non si dovrebbe astenere a cuor leggero dalla Comunione sacramentale.
Anche la letteratura spirituale e mistica raccomanda di non astenersi con leggerezza dalla Comunione sacramentale.
Il libro L’Imitazione di Cristo raccomanda ai devoti la Comunione sacramentale frequente e l’astensione solo in caso di “veri impedimenti”
Uno dei libri più autorevoli della letteratura spirituale cattolica, L’imitazione di Cristo, stabilisce la seguente regola per i fedeli devoti:
«Chi ha la coscienza pura e monda si accosti all’altare ogni giorno; chi ha veri impedimenti, può farlo più di rado, procurando però di togliere al più presto l’ostacolo» (L. IV, cap. X).
Da notare che si parla di “veri impedimenti”, non di motivazioni meramente “soggettive” e che, in ogni caso, vanno rimossi non appena possibile.
Secondo L’imitazione di Cristo si può al limite giustificare un’astensione occasionale dal sacramento (“talora”) per i fedeli meno devoti, per ragioni a cui si è già accennato:
«Chi è mediamente devoto deve sforzarsi per accostarsi il più sovente possibile quantunque possa talora astenersene, secondo il consiglio del Confessore…».
Inoltre, si raccomanda di «non tralasciare la comunione per piccolezze, per tentazioni, per aridità o per mancanza di devozione sensibile» e qualora un fedele dovesse scegliere di astenersi «per legittima ragione» o «per umiltà» ciò deve avvenire «per poco tempo» e con l’intento di tornare al più presto a «parteciparvi, possibilmente ogni giorno [sacramentalmente ndr] ed ogni ora spiritualmente e col desiderio».
Seguire la propria coscienza non vuol dire “fare ciò che si vuole” ma scegliere ciò che si ritiene essere la volontà di Dio dopo aver ascoltato con attenzione la sua Parola
Alcuni affrontano la questione della legittimità della Comunione spirituale richiamando il primato della “coscienza”. Asseriscono che, al di là di quello che può consigliare il confessore o di quello che insegna la Chiesa, ciò che conta maggiormente è che il fedele segua la propria coscienza. Insomma: nessuno gli deve dire cosa fare. È lui che lo decide seguendo ciò che sente giusto fare nella propria coscienza.
Questo è vero, ma è importante il fedele sia aiutato a capire che seguire la propria coscienza non vuol dire fare “ciò che si sente”, ad esempio sulla base degli umori del momento o dello stato di fervore spirituale. Questa non è una concezione cristiana e cattolica di coscienza, ma modernista e relativista! (peraltro si è appena riportato un testo de L’imitazione di Cristo che invita a «non tralasciare la comunione» «per aridità o per mancanza di devozione sensibile»).
Si ricordi che nella concezione della teologia cattolica la coscienza non è mai solo un “sentire soggettivo” e arbitrario. Seguire la propria coscienza vuol dire chiedersi, sulla base delle leggi divine ed ecclesiali, se si è “oggettivamente” nelle condizioni morali e spirituali per potersi comunicare. In altri termini, la coscienza va certamente seguita, purché sia una coscienza “formata” sulla base dell’insegnamento della Chiesa. Non basta dire: “segui la tua coscienza”, perché se la coscienza non è ben formata può essere “erronea”. In questo caso il fedele ritiene soggettivamente vero “in coscienza” ciò che è sbagliato! Va perciò esortato a cercare la verità nell’ascolto attento della Parola di Dio interpretata autorevolmente dalla Chiesa, e non semplicemente a continuare a fare “ciò che si sente”, nello stile di una mentalità soggettivista, che non ha nulla a che fare con la morale cattolica. Si ricordi, peraltro, che se una coscienza erronea «non si cura di cercare la verità e il bene» diviene colpevolmente erronea (cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor 63).
Nemmeno può dirsi ben formata una coscienza che si basa sul parere di singoli pastori e teologi che, per quanto possa apparire convincente, va sempre subordinato rispetto all’autorità del Magistero ufficiale e dei Dottori della Chiesa e non dovrebbe essere considerato come un riferimento in questioni morali, specialmente in caso di tesi discordanti rispetto ai testi magisteriali.
Vediamo alcuni casi in cui è legittimo “in coscienza” decidere di astenersi dalla Comunione sacramentale.
– Quando si ha anche solo il dubbio di avere commesso un peccato grave e non c’è la possibilità di accedere alla Confessione o chiedere un parere a un sacerdote, si può scegliere in coscienza di non fare la Comunione.
– Il fedele può liberamente decidere in coscienza di astenersi “occasionalmente” dall’Eucaristia anche per altre ragioni, ad esempio allorché intende praticare un digiuno eucaristico, ma – come avviene anche per il digiuno dal cibo – bisognerebbe sempre prendere queste decisioni in accordo con il proprio direttore spirituale, per non cadere in un laccio di satana.
– Può anche capitare che si decida occasionalmente di non accedere al Sacramento a causa di un peccato veniale volontario (ad esempio se ci si distrae volontariamente durante la santa Messa oppure, se si è nel dubbio di non aver osservato il digiuno eucaristico di almeno un’ora prima della Comunione). Tuttavia, la Chiesa insegna che anche in caso di peccato veniale volontario non è necessario astenersi dal Sacramento, perché l‘Eucaristia può ottenere il perdono per tutte le colpe veniali. Ci si può quindi comunicare, anche se in questo caso è molto importante fare precedere la Comunione da un atto di sincera contrizione.
Non dovrebbe invece essere considerato in coscienza come un impedimento oggettivo a ricevere il sacramento una ragione di carattere rituale, cioè legata al modo di ricevere la Comunione, se quel modo è riconosciuto legittimo dalla Santa Chiesa. In tal caso ci si dovrebbe adeguare senza troppi scrupoli e con spirito di abnegazione, anche qualora quel modo non corrisponda alla propria “sensibilità” spirituale. Questo vale specialmente per i fedeli che partecipano ogni giorno alla santa Messa.
È sempre sbagliato giudicare i singoli fedeli per il modo in cui si comunicano e nessuno può essere obbligato a ricevere il Sacramento dell’Eucaristia
A questo punto due precisazioni sono doverose.
Prima di tutto, la conoscenza dell’insegnamento della Chiesa sulla Comunione spirituale non va confusa con il giudizio sui singoli fedeli. Nessuno è legittimato a giudicare o a denigrare un fedele perché decide di astenersi dal sacramento, così come nessuno deve giudicare un fedele perché fa la Comunione, sia perché solo Dio conosce il cuore e la coscienza delle persone, sia perché “l’etichetta” di “pubblico peccatore” attribuita a un fedele non corrisponde necessariamente alla sua oggettiva condizione morale.
Seconda precisazione. Nessuno può obbligare un fedele a ricevere il sacramento dell’Eucaristia. Sarebbe un grave abuso, perché i sacramenti vanno ricevuti in piena libertà e consapevolezza.
Ciò detto, va ribadito che un buon direttore spirituale raccomanda sempre la Comunione sacramentale se si accorge che il fedele è vittima di scrupoli.
Gli “scrupoli”: una delle armi più micidiali di satana
Lo “scrupolo” è una sorta di “malattia dell’anima” che può venire anche da satana e consiste in un falso timore, cioè in un timore non fondato su motivazioni oggettive reali o sufficienti, che induce il fedele a evitare la Comunione sacramentale e a limitarsi a quella spirituale. Non sempre è facile distinguere tra uno scrupolo e una ragione di coscienza legittima. È importante che il fedele, nel dubbio, chieda consiglio al suo direttore spirituale o a un confessore.
L’esperienza degli esorcisti: il demonio escogita “santi pretesti” perché i fedeli si astengano dal ricevere il sacramento dell’Eucaristia
Gli esorcisti sanno bene, per esperienza (e lo ripeteva spesso nei suoi libri PADRE GABRIELE AMORTH, il fondatore dell’Associazione Internazionale Esorcisti), che il demonio fa di tutto per tenere lontani i fedeli dalla Comunione sacramentale, particolarmente coloro che sono vittima di una sua azione straordinaria (vessazione, ossessione o possessione).
L’esorcista padre Gabriele Amorth (1925-2016)
La sua opera consiste nell’indurre scrupoli morali di ogni genere, cioè nel fare credere che i fedeli commettono sacrilegi o profanazioni se si accostano al Santissimo Sacramento e qualora lo facessero li carica di sensi di colpa, anche per cose di poco conto.
Ci sono ragioni fondate per ritenere che il demonio si serva oggi – come ha fatto sin dalle origini nel movimento giansenista o in altri movimenti ereticali, come il montanismo – di false rivelazioni, apparizioni e locuzioni, escogitando “santi pretesti”, anche attraverso parole menzognere raccolte da persone ossesse, allo scopo di fomentare e diffondere questi scrupoli, in modo da allontanare i fedeli dal Sacramento, specialmente laddove non è possibile riceverlo sulla bocca.
In questo modo ottiene il massimo risultato: la persona, non cibandosi con frequenza del Pane celeste, si indebolisce sempre più e l’azione oppressiva del nemico si rafforza.
In alcuni casi, specialmente in persone vessate, satana “fa risuonare” nella testabestemmie o pensieri e visioni oscene e sacrileghe, talora anche durante la Santa Messa. In questo caso è necessario che il fedele si confronti con una buona guida spirituale per discernere se si tratta (come è probabile) di vessazioni demoniache, in cui la volontà della persona non è coinvolta. In tal caso è particolarmente importante che il fedele superi i sensi di colpa e si accosti comunque al Sacramento, che è il principale baluardo contro l’azione del demonio, facendo prima un atto di contrizione. Se infatti il confessore dovesse assecondare i sensi di colpa del fedele e invitarlo ad astenersi dalla Comunione lo indurrebbe a darla vinta a satana, perché lo spirito del male fa di tutto perché che una persona vessata, o coloro che gli sono spiritualmente vicini, disertino la mensa del Santissimo Sacramento.
Oggi la Comunione quotidiana frequente è ancora più necessaria che in passato
Quanto esposto sin qui trova un riscontro significativo lungo i secoli nella testimonianza di molti santi e maestri spirituali e nella letteratura mistica anche se si tenga presente che prima del decreto di San Pio X la Comunione sacramentale quotidiana non era diffusa ed era generalmente possibile solo con il consenso del confessore.
È significativo nondimeno il fatto che proprio nei periodi in cui i confessori impedivano maggiormente ai fedeli l’accesso quotidiano all’Eucaristia (ad esempio nei secoli successivi al Concilio Lateranense IV del 1215, a causa di una errata interpretazione del precetto della Comunione pasquale, interpretazione che, come vedremo, perdura ancora oggi), Gesù stesso comunica, attraverso alcune grandi figure di mistici, come Santa Geltrude e Santa Caterina da Siena, il suo desiderio che le anime si accostino ogni giorno al Divino Sacramento.
D’altra parte, all’inizio del ‘900 papa San Pio X era persuaso che la Chiesa era entrata in tempi particolarmente difficili sul piano della fede, in cui non bisognava stancarsi di raccomandare a tutti la Comunione sacramentale frequente. Secondo papa Sarto la Comunione tutti i giorni è il vero antidoto che preserva dai peccati gravi e ci fortifica nel combattimento spirituale.
A Santa Caterina da Siena “non bastava” la Comunione spirituale
SANTA CATERINA DA SIENA desiderava accedere al Sacramento dell’Eucaristia tutti i giorni, anche perché Gesù stesso le aveva detto che lo desiderava. Ma ai suoi tempi molti sacerdoti ritenevano inopportuno comunicarsi tutti i giorni.
Santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa (1347-1380)
Caterina si comunicava spiritualmente innumerevoli volte nell’arco di una giornata, ma quando cominciava a rimanere per più di un giorno senza il Sacramento supplicava il suo confessore con le parole: «Padre dell’anima mia, ho fame!».
Questo ci fa capire che la Comunione spirituale non può “sfamare” l’anima allo stesso modo di quella sacramentale, laddove quest’ultima può essere ricevuta senza un impedimento oggettivo.
A volte era lo stesso Gesù che le dava la Comunione, commosso per il suo vivo desiderio e perché la sua richiesta era inascoltata dai sacerdoti.
Gesù fa capire a Santa Geltrude che preferisce chi, nonostante il senso di indegnità, si comunica sacramentalmente a chi si astiene o induce gli altri ad astenersi
Una conferma luminosa dell’insegnamento della Chiesa sul rapporto tra Comunione spirituale e sacramentale può essere trovata negli scritti della grande mistica medioevale SANTA GELTRUDE DI HELFTA.
Un giorno la santa vide una suora astenersi dalla comunione. Chiese a Dio: «Perché, Signore, hai permesso a questa Suora di non venire a riceverti?». Ecco la risposta di Gesù:
«È colpa mia se questa Sorella ha abbassato con tanta cura il velo della sua indegnità davanti ai suoi occhi a tal punto che le è stato impossibile vedere la tenerezza del mio Amore paterno?».
Gesù gradisce che ci sentiamo indegni di riceverlo, ma desidera maggiormente che superiamo il senso di indegnità con la fiducia nella tenerezza del suo Amore!
In un’altra occasione, Santa Geltrude aveva deciso, per ragioni puramente devozionali, di astenersi dalla Santa Comunione. Si accorse però che il suo ringraziamento e la sua lode erano più tiepide del solito. Gesù le disse:
«Come farai a ringraziare i Santi delle preghiere che stanno per offrirmi secondo le tue intenzioni, poiché vuoi tralasciare la Santa Comunione, per mezzo della quale tu sei solita ad offrirmi, da parte loro, i sensi della più perfetta riconoscenza?». A tale domanda Geltrude non sapeva cosa rispondere.
È chiaro che la santa è influenzata dalle abitudini devozionali della sua epoca ed è perciò sorpresa nel costatare che Gesù non apprezza il suo digiuno eucaristico. Teniamo conto altresì che questa santa è un’antesignana della spiritualità del Sacro Cuore, devozione tanto detestata dai giansenisti. Questo ci permette di riconoscere due tendenze che attraversano la storia della spiritualità eucaristica: da una parte quella di coloro che fanno di tutto per corrispondere al desiderio di Gesù che chiede di superare gli scrupoli in nome della fiducia nella sua infinita misericordia e bontà e di comunicarsi spesso sacramentalmente, dall’altra quella di quanti si allontanano dalla Comunione sacramentale, e quindi da una comunione piena con Gesù (o allontanano gli altri) in nome di un presunto rispetto per il sacramento, che però finisce con il raffreddare il fervore e la vera devozione.
Santa Geltrude di Helfta, “la Grande” (1256-1302)
Altrove Gesù invita Santa Geltrude a non biasimare e giudicare coloro che per rispetto si astengono dalla Santissima Comunione, benché in essi prevalga più la riverenza che l’amore. «Anche la riverenza è dovuta questo sacramento – le dice Gesù – e tuttavia bisogna “desiderare” che la riverenza si apra [attraverso la ricezione del Sacramento ndr] alle consolazioni della divina dolcezza».
Particolarmente significativo è il testo in cui Gesù fa capire chiaramente a Santa Geltrude che «non bisogna omettere la Santissima Comunione quando si sono commesse colpe veniali».
La Santa pregava per una persona che si era astenuta dalla Santa Comunione per timore di scandalizzare il prossimo, essendo caduta in una leggera mancanza esteriore. Il Signore le rispose con un paragone:
«Quando ci si accorge d’avere una macchia sulle mani, ci si affretta a lavarle, e allora esse si purificano completamente: la stessa cosa capita talvolta ai miei eletti. Permetto che cadano in qualche colpa leggera, perché, compiendo poi atti di pentimento e d’umiltà, diventino più graditi ai miei divini sguardi e l’anima loro rinnovata, sfavilli di particolare splendore. Purtroppo, però molti contrastano i miei amorosi disegni, non stimando la riconquistata bellezza interiore, e preoccupandosi soltanto della rettitudine esterna, basata sul giudizio degli uomini; essi si privano così dell’immensa grazia di ricevermi, nel timore di essere biasimati da coloro che, avendo visto le loro mancanze, non hanno però visto il pentimento che le ha distrutte».
Santa Geltrude, a differenza delle sue consorelle, corrispondendo alla richiesta di Gesù cercava di comunicarsi tutti i giorni, ma talora veniva nondimeno assalita da scrupoli. Gesù, allora, le fece capire i grandi vantaggi di chi riceve la Comunione frequente, con un altro bellissimo esempio:
«Nel mondo il governatore che è stato incaricato delle sue alte funzioni due volte, ha la precedenza di fronte a colui che vi è stata eletto una volta sola; come non sarà più glorioso in Cielo colui che più di frequente mi avrà ricevuto in terra?».
Tuttavia, Gesù precisa anche che è necessario preparare la Comunione con una fervorosa preghiera e che «nessuna ricompensa verrà accordata a chi celebra i divini misteri con freddezza e per abitudine».
Troviamo, infine, negli scritti di Santa Geltrude, un altro episodio molto istruttivo in cui Gesù se la prende con quelle persone che consigliano di astenersi senza una grave ragione dalla Comunione Sacramentale.
Ecco il racconto da Le Rivelazioni di Santa Geltrude (Capitolo LXXVIII):
«Fra coloro che dirigevano il Monastero si trovava una persona i cui sentimenti, a proposito della Santa Comunione, erano ispirati più dallo zelo della giustizia che dallo spirito della misericordia. A sentir lui non poche Religiose mancavano della divozione necessaria per comunicarsi spesso, o non si preparavano al divino incontro con la dovuta diligenza. Egli esprimeva questi pensieri nelle pubbliche istruzioni, di modo che, ben presto, riuscì a rendere le Monache sfiduciate e timorose di comunicarsi. Geltrude se ne affliggeva e, pregando un giorno per l’austero direttore, chiese a Gesù se approvasse quel metodo. Rispose il Salvatore: “Le mie delizie sono di stare coi figli degli uomini. Per contentare il mio amore ho istituito questa Sacramento: mi sono obbligato a dimorarvi fino alla consumazione dei secoli, e ho voluto che si ricevesse di frequente. Se dunque alcuno, sia con pubbliche istruzioni, sia con privato consiglio, allontana dalla S. Comunione un’anima che non è in peccato mortale, impedisce e interrompe le delizie del mio Cuore. Se un principino si compiacesse grandemente di conversare, di giocare con fanciulli poveri, di bassa condizione, non si sentirebbe forse contrariato se il suo precettore duramente ve lo riprendesse, e cacciasse i poveri contadinelli sotto il pretesto che la dignità di un giovane principe non permette simili giochi, in compagnia di gente plebea?».
Un buon direttore spirituale non dovrebbe pertanto allontanare le anime che non sono in peccato mortale dalla Santa Comunione.
La Serva di Dio Luisa Piccarreta parla di un’anima in purgatorio perché si asteneva dal Sacramento per ragioni devozionali
La Serva di Dio Luisa Piccarreta (1865-1947)
Riferimenti all’importanza della Comunione frequente li troviamo anche nell’opera della SERVA DI DIO LUISA PICCARRETA.
In un suo quaderno parla si un’anima che era in Purgatorio perché nel corso della sua vita terrena era solita trascurare per motivi secondari la Comunione sacramentale, facendo tanto soffrire Gesù (Libro di Cielo, Volume VII, 14 ottobre 1906).
Ecco le parole di quest’anima che spiega il motivo della sua pena:
Ho meritato queste pene… perché facendo io vita devota, abusai molte volte di non fare la comunione per cose da niente, per te ntazioni, per freddezze, per timori ed anche qualche volta per poter portare ragioni al confessore e dire che non facevo la comunione. Dalle anime è considerato un niente tutto questo, ma Iddio ne fa severissimo giudizio, e dà pene che superano le altre pene, perché sono difetti direttamente contro l’amore. … Ed il Signore, per farmi purgare da questo difetto, mi ha fatto parte della pena che Lui soffre quando le anime non lo ricevono. È una pena, è un cruccio, è un fuoco, che paragonato allo stesso fuoco del purgatorio, si può dire che sia un niente.” Dopo ciò, mi son trovata in me stessa, tutta stupita pensando alla pena di quell’anima, mentre da noi si considera veramente un niente il non prendere la santa comunione!».
Ma il precetto della Chiesa non dice di comunicarsi «almeno a Pasqua»? La risposta a un’obiezione diffusa
A volte si sente obiettare a tutto questo che la Chiesa, al Concilio Lateranense IV (1215), ha stabilito come precetto generale di comunicarsi «almeno a Pasqua». Pertanto, nessuno sarebbe tenuto a fare la Comunione sacramentale oltre questo limite stabilito dal Magistero. Può bastare la Comunione spirituale, purché non manchi quella sacramentale una volta all’anno.
Questa idea è putroppo abbastanza diffusa, soprattutto nelle regioni in cui in passato imperversava il giansensimo e induce molti fedeli a sentirsi legittimati a fare la Comunione poche volte durante l’anno, ad esempio a Pasqua e a Natale.
Ma è chiaro, alla luce di quanto esposto sin qui, che si tratta di un’interpretazione non corretta del precetto del Lateranense.
Infatti, il precetto stabilisce un minimo oltre il quale il fedele esce dalla comunione con la Chiesa. Un tempo era vietato anche l’ingresso nelle chiese a coloro che non osservavano questo precetto! Maciò non significa assolutamente che la Chiesa ritiene che sia conveniente che i fedeli si limitino a una solo Comunione sacramentale a Pasqua.
Prima di tutto, il precetto fissa l’obbligo minimo per la Pasqua ma non dice quante volte all’anno è consigliabile accostarsi alla Comunione sacramentale perché questa possa sostenere convenientemente il cammino di fede. Questo lo stabilisce, come abbiamo visto, il Concilio di Trento, raccomandando la Comunione sacramentale frequente e possibilmente quotidiana!
Chi tira in ballo il precetto pasquale per giustificare la Comunione spirituale e l’astensione arbitraria dal Sacramento della Santissima Eucaristia a tempo indeterminato è come un insegnante che dice ai propri alunni che possono studiare il minimo indispensabile per puntare alla sufficienza. Ma nessun insegnante che vuole il bene dei propri alunni direbbe questo! Così un pastore che ama il proprio gregge non direbbe mai che è sufficiente comunicarsi solo a Pasqua.
Conclusione: non diamola vinta al nemico e non interrompiamo le delizie del Cuore di Gesù. Facciamo in modo di poter ricevere ogni giorno il Sacramento della Santissima Eucaristia
In conclusione, chiunque desideri percorrere un cammino di perfezione spirituale e corrispondere nel modo migliore all’Amore di Gesù dovrebbe mirare a ricevere ogni giorno la Comunione sacramentale e non accontentarsi della Comunione spirituale, a meno che ci siano impedimenti oggettivi di carattere fisico o morale. Non è un impedimento oggettivo il ricevere la Comunione sulla mano, laddove non è possibile riceverla sulla bocca, perché si tratta di una modalità rituale oggi riconosciuta legittima dalla Chiesa (benché inizialmente solo “tollerata” nella forma di un “indulto”). È vero che vi sono testi della letteratura spirituale e mistica recenti (a dire il vero poco autorevoli perché non riconosciuti dall’autorità ecclesiastica; potrebbero quindi essere forieri di errori o addirittura di inganni di origine preternaturale) che invitano i fedeli a preferire la Comunione sulla bocca, ma si riferiscono a condizioni normali, in cui il fedele può scegliere “in coscienza” se comunicarsi sulla bocca o in mano. Dinanzi a una norma positiva del superiore che vieta la comunione sulla bocca, un vero santo non inviterebbe mai a disobbedire laddove il comando è lecito, cioè non comporta una trasgressione morale.
Un tempo in cui viene provata la vera obbedienza a Cristo mediante la Chiesa: bisogna obbedire ai Superiori anche qualora Gesù stesso avesse chiesto altro in una “rivelazione privata”
Chi vuole essere certo di fare una cosa gradita a Dio deve sempre obbedire ai legittimi superiori, anche qualora ritenga che Gesù – ad esempio in una locuzione interiore o in una rivelazione privata – abbia chiesto altro. Vale la pena ricordare, al riguardo, le parole di Gesù a SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE (riportate nel suo diario) che pensava di fargli piacere perché seguiva quanto Egli le aveva chiesto ma disobbedendo alle successive disposizioni delle superiori. Gesù le disse che non si sarebbe sentito “offeso” quand’anche ella gli avesse negato qualcosa in nome dell’obbedienza; al contrario, quando lei disobbediva doveva essere certa di fare una cosa non gradita a Dio!
«Come puoi pensare, figlia mia, di far piacere a Dio, superando i limiti dell’obbedienza?». «Sappi che non mi sento affatto offeso da tutti questi conflitti e dinieghi che mi opponi in nome dell’obbedienza, per la quale io ho dato la mia vita. Ma voglio insegnarti che sono il padrone assoluto dei miei doni e delle mie creature, e che nulla potrà impedirmi di portare a compimento i miei disegni. Ecco perché voglio non solo che tu faccia ciò che le tue superiore ti diranno, ma pure che tu non faccia nulla di ciò che ti ordino senza il loro consenso. Io amo l’obbedienza e, senza di questa, non mi si può piacere».
L’obbedienza è la virtù del discepolo fedele,della quale Gesù ha dato l’esempio supremo, rinnegando la propria volontà umana nel Getsemani e consegnandosi liberamente alla morte in croce. È la virtù del discepolo fedele perché qualifica l’autenticità dell’amore. Senza questa virtù non possiamo “piacere a Dio”, anche se compiamo opere sante e in sé stesse a Lui apparentemente gradite! Perché Dio vuole l’obbedienza al di sopra di tutti i sacrifici (cfr. 1 Sam 15,22). L’obbedienza – che è il sacrificio della propria volontà consegnata ai superiori che rappresentano Cristo – è il sacrificio più gradito a Dio!
Come ricevere la Santa Comunione in questo tempo di pandemia?
È chiaro che la Comunione sulla mano va fatta sempre con grande umiltà e con spirito di adorazione, stando a ciò che prevede l’attuale disciplina ecclesiastica: il fedele può scegliere di farla in ginocchio oppure in piedi, dopo aver fatto una «debita riverenza» (cioè una genuflessione o un inchino profondo o anche solo un inchino semplice: cf Delibera CEI 1989). Sappiamo che il Cardinal Robert Sarah, che è stato per molti anni il Prefetto del Culto divino e della Disciplina dei Sacramenti, ha affermato a più riprese che, a suo modo di vedere e fatta salva la libertà di scelta dei fedeli, il modo migliore di comunicarsi è in ginocchio e sulla bocca. Nondimeno, in questo tempo di pandemia ha chiesto di obbedire ai Vescovi (vedi qui). Si ricordi peraltro che il 13 novembre 2020 la stessa Congregazione, allora da lui presieduta, ha respinto un ricorso di un fedele che riteneva illecita e illegittima la sospensione temporanea della Comunione in bocca da parte del Vescovo di Knoxville Mons. Richard Stika (vedi qui la risposta del segretario del Cardinal Sarah a Mons. Stika). Si tratta quindi di obbedienza a cui si è moralmente tenuti, perché – come spiega san Tommaso – bisogna obbedire a un comando lecito di un legittimo superiore, che agisce nell’ambito della sua autorità (cfr. Summa Theologica, II-II, 104). Certo, occorre anche porre una grande attenzione affinché non vi sia dispersione di frammenti sul palmo della mano, anche se generalmente con le attuali particole questa dispersione non avviene.
La pratica del fazzoletto per ricevere la Santa Comunione non è prevista dalle norme liturgiche ed è quindi “abusiva”
Non è invece previsto, nell’attuale disciplina, l’uso di un fazzoletto, dove peraltro è più difficile vedere eventuali frammenti. Questo uso non ha nessuna giustificazione se si considera che le membra di un battezzato, “tempio dello Spirito Santo” – come scrive san Paolo – non sono certo più “impure” di un pezzo di stoffa. Inoltre, la pratica della purificazione di un fazzoletto o di una teca non è formalmente consentita a un laico che non sia accolito. In questo caso, sì, si può parlare di una pratica abusiva. Peraltro, deve fare riflettere il fatto che l’uso di oggetti o fazzoletti per ricevere la Comunione è stato addirittura condannato dal Concilio Quinisesto (692) che, benché recepito solo dalla Chiesa ortodossa, offre un criterio valido anche per noi laddove afferma:
«…ripudiamo coloro che fabbricano certi recipienti d’oro, o di qualsiasi altro materiale, da usare al posto della loro mano per ricevere il dono divino, chiedendo di prendere la santa Comunione in tali ricettacoli: essi preferiscono la materia inanimata e un elemento inferiore all’immagine di Dio che essi sono…» (can. 101)
«Vivi in modo da poterti comunicare ogni giorno».
Ciò che non va mai dimenticato, infine, è che la Comunione sacramentale quotidiana comporta la scelta di vivere – come direbbe san Giovanni Paolo II – una «misura alta della vita cristiana», secondo l’aureo consiglio di sant’Agostino: «Vivi in modo da poterti comunicare ogni giorno». Amen.