Introduzione al “Trattato sull’obbedienza” di Santa Caterina da Siena
Prima di entrare nella lettura e nel commento dei vari capitoli del Trattato sull’obbedienza, viene offerta un’INTRODUZIONE IN DUE PARTI:
1) Un breve PROFILO BIOGRAFICO di Santa Caterina da Siena;
2) Qualche cenno per una contestualizzazione del tema dell’obbedienza nel quadro della TEOLOGIAdella mistica senese.
Giova ricordare che il fatto che Santa Caterina sia stata proclamata “DOTTORE DELLA CHIESA” significa che la sua dottrina è da considerare un cibo solido e sicuro per la nostra fede.
Santa Caterina nacque a Siena il 25 marzo 1347 e fu una religiosa, teologa, filosofa e mistica italiana. Papa Pio II la canonizzò nel 1461. Successivamente, nel 1866, papa Pio IX la volle annoverare fra i compatroni di Roma. Infine, papa Paolo VI, in ragione della sua alta elevazione spirituale, la proclamò Dottore della Chiesa il 4 ottobre 1970.
La vita
Caterina era la ventiquattresima figlia del tintore Jacopo Benincasa e di Lapa Piacenti. Fin da bambina sentì forte la vocazione a consacrarsi totalmente al Signore. Inizialmente, tuttavia, il suo progetto fu ostacolato, sia a livello familiare sia istituzionale. Dopo una grave malattia infettiva che le deturpò il viso, ottenne l’approvazione di vestire l’abito delle “Mantellate” del Terz’ordine domenicano. Non divenne quindi una “suora”, una religiosa, ma scelse una consacrazione laicale. All’epoca, l’entrata in convento per una donna equivaleva alla clausura. Ma la santa senese, all’età di sedici anni, preferisce entrare nelle Mantellate, un gruppo formato perlopiù da signore non più giovanissime, generalmente vedove, che si dedicavano alle opere di carità. In un primo momento incontrò delle resistenze per la sua giovane età. Poi venne accolta nel gruppo, quando risultò chiaro che si trattava di una ragazza con una singolare maturità spirituale e umana. Le Mantellate erano solite riunirsi nella chiesa del convento dei Frati Predicatori (Domenicani) di Siena.
All’inizio Caterina non aveva alcuna esperienza di preghiere, di adunanze e di pratiche penitenziali ed era pure analfabeta. Per questi motivi, per circa tre anni rimase per gran parte del tempo isolata dalle altre consacrate, chiusa nella sua casa paterna. Qui si costruì il suo spazio spirituale, quella che poi chiamò la “cella della mente“.
Poi la giovane cominciò a frequentare più assiduamente la chiesa presso il convento dei Domenicani, dove imparò a leggere e a scrivere e si dedicò ad un’intensa attività caritatevole verso gli ultimi. Oltre a ciò – in un’Europa dilaniata da pestilenze, guerre, carestie e sofferenze – divenne un punto di riferimento per uomini di cultura e religiosi del tempo, poiché la fama della sua esperienza mistica e dei suoi doni di sapienza e di discernimento si erano ormai diffusi anche al di fuori delle mura della città.
Caterina aborriva la maldicenza nei confronti dei religiosi e dei pastori della Chiesa, ma quando vedeva qualcosa che non era secondo Dio interveniva in prima persona. Non ebbe mai paura di richiamare anche il Successore di Pietro, da lei definito “dolce Cristo in terra”, alle sue responsabilità: ne riconobbe le manchevolezze umane, ma ebbe sempre grande riverenza del Vicario di Gesù in terra, così come di tutti i sacerdoti. Dopo la ribellione di una parte di cardinali che diede inizio allo scisma di occidente, papa Urbano VI la chiamò a Roma. Qui la santa si ammalò e morì il 29 aprile 1380, come Gesù, a soli 33 anni.
Santa Caterina ricevette il dono straordinario di vivere molte esperienze mistiche, alcune delle quali caratterizzate da locuzioni interiori e visioni. Infatti, secondo i racconti del suo confessore, già all’età di sei anni si rifugiò in un eremo per soddisfare il suo desiderio di consacrarsi. Poi, a vent’anni, nella notte di carnevale, le apparve Cristo accompagnato dalla Vergine e da una folla di santi, il quale le donò un anello che solo lei poteva vedere, sposandola misticamente.
Innamorata di Gesù, scriveva:
“Niente attrae il cuore di un uomo quanto l’amore! Per amore Dio lo ha creato, per amore suo padre e sua madre gli hanno dato la propria sostanza, egli stesso è fatto per amare”.
Caterina, durante la sua vita, ebbe frequenti estasi in cui intratteneva colloqui con il suo mistico Sposo. Il Signore divenne così il fulcro della sua dottrina. Il maestro che insegna dalla “cattedra della croce”. Il vero e unico mediatore fra Dio e l’uomo. Il “ponte” per ricreare la comunione spezzata dall’abisso del peccato. La “scala” per risalire a Dio.
“Il Dialogo della Divina Provvidenza” si può considerare l’opera più importante di Santa Caterina da Siena. Lei stessa lo ha definito il suo testamento spirituale. La Santa dettò il Dialogo (noto anche come Libro della Divina Dottrina) in volgare ai suoi discepoli nel 1378. Il documento è dichiarato ancora oggi uno dei capolavori della letteratura mistica medievale e della prosa italiana del XIV secolo.
In questa rubrica presenteremo gli ultimi capitoli del Dialogo, riguardanti il Trattato dell’obbedienza.
Cenni sulla teologia dell’obbedienza in Santa Caterina
La relazione tra Dio e la sua creatura
Santa Caterina introduce il tema dell’obbedienza spiegando innanzitutto la relazione che intercorre tra Dio e la sua creatura. Nella teologia della santa senese emerge continuamente una verità di fede fondamentale: Dio ha creato l’uomo libero, ma egli può liberamente scegliere di accogliere o di rifiutare l’amore del suo Creatore. Infatti, se la creatura non fosse dotata di libero arbitrio, la sua risposta all’Amore sarebbe puramente meccanica, vuota, priva di alcun sentimento.
Esiste, pertanto, una relazione d’amore tra l’uomo e Dio, nella quale però è sempre il Padre a prendere l’iniziativa, come, ad esempio, nell’atto della creazione, quello dell’incarnazione e, infine, nel sacrificio del suo Figlio Unigenito, reso necessario per ristabilire il legame con la sua creatura, precedentemente spezzato dalla superbia del peccato.
Questo amore da parte di Dio appare a Caterina “pazzo” e inspiegabile – come se senza la creatura Dio non potesse vivere. Di conseguenza, l’unica risposta possibile a questo infinito amore da parte della creatura è la scelta di rinunciare liberamente alla volontà propria per consegnarsi interamente all’Amato. L’obbedienza si manifesta pienamente nella forma di un abbandono dell’amor proprio, e diviene così la chiave che apre la porta della comunione intima con Dio.
L’obbedienza come strada per liberarsi dal proprio “ego”
Nel Dialogo, Santa Caterina propone due pratiche di fede essenziali: l’orazione e l’obbedienza. Esse si imparano esercitandole con metodo e costanza raggiungendo così diversi livelli che vanno dal più letterale allo spirituale.
L’orazione, ad esempio, nel suo grado più alto, è preghiera continua. Essa consente a Dio di essere costantemente presente nell’anima, che vivrà nell’immensa gioia e nel godimento. Caterina però sottolinea quanto sia importante il saper rinunciare a questo rapimento contemplativo quando si è chiamati all’obbedienza. Solo l’obbedienza, infatti, conduce a una vera liberazione dall’amor proprio, che dona pace interiore e sprigiona amore. Questo stato viene raggiunto solo se si ha uno spirito di totale e incondizionata sottomissione ai propri superiori. È necessario, quindi, che la persona compia un atto di profonda umiltà svuotandosi del proprio “ego”.
La Santa, nel Trattato dell’obbedienza, ci insegna che:
“S’impara a obbedire a Dio solo accettando di entrare in una relazione umana di obbedienza, sottomettendosi quindi a una guida. Senza guida si rimane preda dell’amor proprio e delle illusioni che questo produce. Si tratta quindi di arrivare a uccidere la volontà propria, la propria impazienza e l’amor proprio, pensare di poter rendere conto direttamente a Dio del proprio comportamento e delle proprie scelte sarebbe superbia e autoinganno. La rinuncia a se stessi, alla volontà propria, innalza al divino e all’obbediente obbediscono la terra e i quattro elementi, gli animali e le piante. Chi perde sé stesso possiede Dio”.