La vita di Santa Bertilla mostra come ogni battezzato può percorrere una via di santità

 

SUOR MARIA BERTILLA

Maria Bertilla Boscardin è una santa che ha vissuto in modo esemplare l’invito di Gesù: «Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».

Il suo nome di Battesimo è Anna Francesca, ma era conosciuta in famiglia e in paese, in provincia di Vicenza, con il nome di Annetta.
Cresciuta con una mamma buona e con un padre aspro e litigioso, che diventava anche violento quando era ubriaco, da bambina era timidissima, impacciata, non brillante a scuola… alcuni l’avevano soprannominata ”povero oco” (“povera ochetta”).
Impara ben presto dalla mamma ad andare a pregare nella chiesetta del paese, dove trovava la pace che il suo cuore cercava. A soli 15 anni sorprende tutti, con la decisione di volersi consacrare a Dio. Il parroco le dice: «Tu non sai fare niente! Le suore non saprebbero che farsene di te!». «È vero!», rispose candidamente. Ma poi, quando il prete si trova solo davanti al Ss. Sacramento, cambia idea. Quando la rivede Le chiede: «Di’ un po’: ma sai almeno pelare le patate?». «Oh sì, padre, questo sì!». «Va bene, non occorre altro!».
Entrò dunque in convento, dove prese il nome di suor Bertilla.
Un giorno andò dalla maestra delle novizie e le disse: «Io non sono buona a nulla. Sono “un povero oco”. Mi insegni come devo fare. Voglio farmi Santa!».

Osserva padre Antonio Sicari: «A noi che siamo così attenti a difendere coi denti quel po’ di prestigio che abbiamo, e ne facciamo una questione di dignità, potrebbe dare perfino fastidio vedere una creatura ridotta a tale grado di umiltà (o forse di umiliazione), ma non dobbiamo lasciarci ingannare. Con tutta la nostra dignità noi abbiamo perfino paura o vergogna a dire di voler diventare santi. Lei lo considerava un diritto e una necessità. Come dire che la nostra pretesa dignità custodisce spesso un io fragilissimo incerto; mentre l’umiltà, e perfino l’autoumiliazione, di Bertilla custodiva un io più consistente più puro del diamante. Fu il desiderio della santità – e la certezza che fosse possibile anche a lei diventarlo, con la grazia di Dio – che la protesse da ogni ripiegamento su se stessa, d’ogni esaurimento nervoso o crisi esistenziale. Furono cioè questo desiderio questa certezza a rendere “evangelico” il suo abitare all’ultimo posto. … Le fu perciò congeniale lo scegliere il posto meno ambito, il lavoro più faticoso, il servizio generoso e privo di lamento. «Faccio io! – diceva spesso, per compiti che nessun altro desiderava – faccio io. Tocca a me! E quando le facevano qualche torto la trascuravano, non si crogiolava nel sentirsi offesa».

Mentre faceva il noviziato, aveva scritto una preghiera in suo quadernetto di appunti spirituali: «Gesù mio, ti scongiuro per le tue sante piaghe di farmi mille volte morire piuttosto che permettere ch’io compia una sola azione per essere veduta!».
Le affidarono sempre i lavori più umili, come la lavapiatti, ma non ci fu mai un lamento sulle sue labbra. Anzi, gioiva nel poter essere la serva di tutti.
A un certo punto, però, le persone che le vivevano accanto cominciarono a capire che quella ragazza tanto umile e semplice nascondeva un qualcosa di speciale.
Soprattutto quando iniziò la sua missione di infermiera presso il reparto dei bambini contagiosi, quasi tutti malati di difterite, bisognosi di assistenza continua. Divenne come una mamma per tutti quei poveri bimbi, bisognosi prima di tutto di consolazione e amore, e che a volte morivano tra le sue braccia. Quelli che guarivano non volevano più lasciare l’ospedale e tornare con le loro famiglie, talmente si erano affezionati a lei.
Un medico disse di suor Bertilla: «Mi ha dato sempre l’impressione che sopra di lei ci fosse un essere che la spingesse e la guidasse; perché una persona che si eleva, nella sua missione di pietà di carità, sulle altre, mentre non aveva – guardata così materialmente – nessuna qualità o intelligenza o di cultura che la rende superiore alle altre, dava realmente l’impressione che si muovesse come dietro l’azione di un angelo che la conduceva. Non è possibile che un medico pensi una persona la quale, come suor Bertilla, passa una, due, tre, quindici notti insonni, e si presenta sempre uguale, incurante di se stessa, senza dar segno di stanchezza e del male che la minava, se non ammettendo, ripeto, qualche cosa dentro o fuori di lei che la sublimi… Non solo, ma il fatto è che ella esercitava sugli altri una tale influenza, una tale persuasione, che non è riscontrabile in altre persone…».
Morì a soli 34 anni oppressa da un tumore molto doloroso, ma con il sorriso sulle labbra, dicendo alle sue sorelle: «Siate contente, sorelle io vado presso il mio Dio!».

O Maria, Umile Serva del Signore, fa’ che anche nel nostro cuore possiamo coltivare la certezza di essere santi, non aspirando ai primi posti, ma servendo con vero amore e in tutta umiltà i nostri fratelli. Amen.