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È vero che Dio castiga gli uomini inviando sciagure per i peccati?

Cerchiamo di rispondere a questo interrogativo, particolarmente attuale nel corso di questa pandemia e legato anche al messaggio di alcune apparizioni mariane.

La Bibbia dice che “Dio castiga” gli uomini per i loro peccati?

 

Nella Bibbia, specialmente nel Primo testamento, non di rado si parla di castighi, di piaghe e di flagelli inviati da Dio a causa del peccato degli uomini. I biblisti rilevano in alcuni libri una vera e propria “teologia retributiva” (specialmente nella cosiddetta “opera deuteronomistica”) che stabilisce un forte nesso tra il peccato di Israele e gli  avvenimenti dolorosi in cui è coinvolto; questi vengono interpretati precisamente come la necessaria e giusta punizione che Dio infligge al suo popolo a causa dell’infedeltà alla sua legge.

Questo linguaggio è ravvisabile in parte anche nel Nuovo Testamento. Ad esempio, nell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse di San Giovanni, si parla di “flagelli inviati da Dio come punizione per i peccati degli uomini e come monito per indurli alla conversione.

Dinanzi a questi testi un credente è legittimato a considerare ogni sciagura e calamità  (ad esempio l’attuale pandemia) una “punizione divina”? Se, infatti, la Bibbia dice che molte sciagure sono inviate da Dio come castigo per gli uomini che trasgrediscono i suoi comandamenti, perché non ritenere che un terremoto o una pandemia siano castighi di Dio, e che quindi che non dipendano solo da cause umane e naturali? Perché non pensare che sia Dio stesso che invia queste sciagure per castigarci a causa dei nostri peccati?

Nessuno può negare che via siano molti testi biblici che stabiliscono questo rapporto tra il peccato dell’uomo e i castighi di Dio, ma si tratta di un tema che non può essere affrontato con affermazioni semplicistiche, poiché si ci si trova qui su un terreno molto insidioso, in cui si sono in gioco alcune delle verità fondamentali della fede cristiana. C’è in gioco, prima di tutto, l’immagine di Dio che abbiamo in testa  e nel cuore. Gesù è venuto e ha versato il suo Sangue per “purificare” questa immagine da rappresentazioni false e idolatriche che da sempre sono presenti nell’uomo “religioso”. C’è in gioco, inoltre, il problema dei problemi: quello dell’esistenza del “male” nel mondo e del suo rapporto con la fede in un Dio che è infinitamente buono.
Il tema della sofferenza ha in sé qualcosa di “sacro”: va sempre accostato “in punta di piedi”, con umiltà e prudenza, sapendo che in qualche modo segna la vita di ogni essere umano.

 

Tutta la Bibbia va letta e interpretata alla luce del Vangelo di Cristo

Ricordiamo, in primo luogo, che tutta la Bibbia va letta interpretata a partire da una chiave fondamentale che è Gesù Cristo: quanto egli ci comunicato con le parole, mediante tutta la sua vita e soprattutto attraverso la sua morte risurrezione. È a partire da Gesù che noi comprendiamo il vero volto di Dio e suo modo di agire nella storia umana. Se leggiamo un passo di un libro dell’Antico Testamento senza tener conto del Vangelo, rischiamo di fraintenderne completamente il contenuto, oltre che di oscurare il messaggio stesso di Gesù.

Vediamo, pertanto, qual è l’insegnamento del Signore Gesù su questo tema.

L’episodio dei Galilei trucidati da Erode e della Torre di Siloe: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo!».

Si potrebbero citare molti brani del vangelo, ma per brevità ci limitiamo a quello che forse è il più significativo. Si tratta di un testo riportato nel capitolo XVIII del Vangelo di Luca.

Eccolo:

«In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Ci troviamo qui dinanzi a due fatti drammatici: il primo provocato dalla malvagità umana, da Pilato che uccide alcuni Galilei; il secondo provocato da una fatalità, il crollo di una torre.

Queste due tragedie simboleggiano tutte le tragedie terrene, fondamentalmente riconducibili a due cause: 1) alla malvagità e all’egoismo umano; 2) a cause di carattere naturale.

Gesù afferma in primo luogo che è sbagliato ritenere che “queste persone” abbiano subito questa triste sorte perché più colpevoli di altri. Questa è una tipica mentalità veterotestamentaria, o meglio: una mentalità “naturale” che caratterizzava le religioni arcaiche e ancora presente in molte religioni, ad esempio in quelle che credono nel cosiddetto “karma”  (chiunque compie un’azione malvagia prima o poi  dovrà necessariamente subire una pena causata da quell’azione). Gesù ci chiede di non collegare mai direttamente un fatto doloroso a una colpa personale o collettiva, anche perché nel momento stesso in cui ragioniamo in questo modo giudichiamo un fratello, e sappiamo che per Gesù non è mai lecito giudicare il prossimo (cfr. Mt 7,1).

D’altra parte, se è vero che non possiamo affermare che le persone che hanno subito una tale sorte sono più colpevoli di altre, nondimeno Gesù ci invita a guardare agli avvenimenti tragici come a un monito sulla serietà della vita e di un suo possibile esito drammatico, e per evitare questo è necessaria la nostra conversione. Dice infatti: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo!».

Ma in che senso dobbiamo intendere queste parole? Forse in un senso letterale, per cui se ci convertiamo siamo sicuri, ad esempio, di non morire a causa di una morte violenta o di una disgrazia o di evitare sciagure per i nostri cari?

Certamente no! Anche perché se fosse così come si spiegherebbe la morte tragica dello stesso Gesù, alla presenza della sua Santa Madre? Come si spiegherebbero le torture e le atrocità subite da migliaia di martiri e santi, oltre che le morti avvenute a causa di eventi naturali? Ad esempio san Luigi Gonzaga morì giovanissimo a causa della peste, santa Teresa di Lisieux ad appena 24 anni di tubercolosi, Sant’Arsacio fu vittima di un terremoto e sant’Emerico morì a causa di un incidente di caccia… L’elenco potrebbe continuare a lungo. Se davvero si potessero evitare sofferenze sciagure semplicemente attraverso la conversione allora la vita dei santi dovrebbe essere senza tribolazioni e contrarietà! Ma non è così!

E allora, che cosa intende dire Gesù quando afferma che se non ci convertiamo periremo anche noi allo stesso modo?

Qui Gesù non intende precisare le circostanze o la causa della nostra morte nel caso in cui non ci convertiamo, bensì l’esito ultimo della nostra morte: il nostro destino eterno!

Prima di tutto, si rifletta sul fatto che la conversione permette all’uomo di vincere la paura più grande che condiziona, in modo più o meno consapevole, la propria vita: la paura della morte. Nel Vangelo Gesù ci esorta a non avere paura di nulla, o meglio: dovremmo avere paura soltanto di  offendere Dio, di tradirlo, di perdere l’unico tesoro che conta nella nostra vita, che è il suo amore! Se davvero entriamo in un cammino di conversione, maturiamo la profonda certezza che la nostra vita è totalmente al sicuro nelle mani di un Padre buono e onnipotente, anche quando attraversiamo grandi tribolazioni e sofferenze. Gesù prepara i suoi discepoli e dice loro che non sarebbero stati risparmiati da prove di ogni genere, ma nonostante questo nessuno avrebbe tolto loro la gioia di sapere che Egli è Vivo e ha vinto la morte e il peccato (cfr.  Gv 16,22). La fiducia nel suo Amore avrebbe scacciato ogni paura (cfr. 1Gv 4,18), anche la più grande: quella della morte. Gesù dice, infatti, ai suoi discepoli che non devono avere paura nemmeno di coloro che uccidono il corpo, ma temere soltanto Dio, dal quale dipende il nostro destino eterno (cfr. Mt 10,28).

Se ci convertiamo possiamo quindi evitare la più grande disgrazia che ci possa accadere: di morire “disperati”, “senza speranza” e quindi incapaci di lasciarci afferrare dalla mano paterna del Salvatore. Il vero spauracchio non dovrebbe quindi essere la morte in quanto tale, ma l’esito ultimo della morte che può essere la perdizione eterna della propria vita, la “seconda morte”! Se ci convertiamo possiamo essere certi di evitare questa “dis-grazia” che è infinitamente peggiore di ogni sciagura terrena. «Guai a quelli che morranno nel peccato mortale, scriveva san Francesco d’Assisi nel suo Cantico delle Creature, beati invece quelli che tu o Signore troverai nella Tue Santissima Volontà, perché la morte seconda non potrà colpirli!». San Francesco, pieno dello Spirito di Cristo, essendosi convertito aveva talmente vinto la paura della morte da chiamarla “sorella morte”, poiché l’avrebbe accompagnata all’incontro finale con Gesù! E Santa Teresa di Lisieux, pur morendo giovanissima di tubercolosi, poco prima di morire sussurra con la gioia nel cuore: «Io non muio, entro nella Vita».

Gesù dice nel Vangelo di Giovanni: «Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno (Gv 11,26)». Chi crede in Lui non perirà, mentre chi non crede in Lui e non si converte “perirà tragicamente” perché andrà incontro alla vera morte, quella eterna dell’anima.

In questo senso, quindi, chi si converte non “perisce”, non va incontro alla peggiore sciagura che possa capitare a un uomo!

 

Dio “castiga” gli impenitenti già nel corso della vita terrena?

Si può quindi certamente parlare di un “castigo eterno” per coloro che non si convertono. Si può altresì ritenere che ci sia un castigo inviato da Dio in questa vita terrena per i peccatori impenitenti?

Per rispondere a questa domanda è necessario affrontarne una previa, che è poi “la domanda delle domande”: se Dio è buono perché esiste il male nel mondo? Perché accadono calamità e sciagure? Perché il dolore e la sofferenza?

 

“Chi pecca danneggia se stesso”

Alla luce dell’insegnamento del Magistero della Chiesa possiamo affermare che il male presente nel mondo va messo in relazione al fatto che Dio ha voluto creare degli esseri personali veramente liberi, gli angeli e gli uomini. Infatti, nella sua origine più remota e radicale il male è la conseguenza della libera scelta da parte di creature angeliche e di creature umane di chiudersi al Bene, che è Dio, al suo amore e alla sua verità. 

Rifiutando di credere in Dio e alla sua Parola e trasgredendo la sua legge, la creatura provoca un “disordine” nel suo rapporto con il Creatore e con il resto del creato. Infatti, tutta la creazione è retta da un “ordine” che il Creatore stesso ha stabilito e solo gli uomini (e gli angeli), essendo creature libere, mediante il peccato, che è un uso sbagliato del libero arbitrio, possono infrangere questo ordine.
 

Di conseguenza, il peccato apporta un “male” che in qualche modo si ripercuote contro se stessi, contro gli altri e, in modo indiretto e misterioso, anche contro il resto della creazione. Il peccato è sempre un atto che provoca danni in noi e fuori di noi, è un “auto-lesionistico”, un “atto suicida”! (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia, 15). Come afferma a chiare lettere il libro del Siracide: “Chi pecca danneggia se stesso!”.

Il peccato è sempre una promessa menzognera di soddisfazione e felicità, perché ha come ultimo ed effettivo salario l’insoddisfazione e la tristezza. Chi pecca è condannato all’alienazione esistenziale, perché ogni uomo è “progettato” da Dio per camminare secondo i comandamenti: per amare, non per odiare; quando odia danneggia se stesso. Ma senza l’aiuto di Dio e il “vangelo del perdono”, l’uomo tende a rispondere al male con il male, innescando una spirale mortale di autodistruzione. Ogni peccato è come un “boomerang” che torna su chi lo commette (oltre che su altre persone) nella forma di una “pena”, di un male di ordine psico-fisico e morale. Chi commette atti di egoismo avrà come salario l’egoismo, chi commette violenza subirà violenza (cfr. Mt 26,52),  chi è menzognero avrà in cambio la menzogna.

 

Nessuno è legittimato a dire che una persona soffre a causa dei propri peccati

Il Vangelo – come si è visto – ci vieta di collegare direttamente una pena a un peccato. Per fare un altro esempio, Gesù dice che il cieco nato non è nato cieco né per colpa sua né per colpa dei suoi genitori, ma “perché in lui siano manifestate le opere di Dio“. (Gv 9,3). Quindi, se è vero che si può dire “in generale” che il peccato è causa di sofferenze e “dis-grazie”, è contrario al Vangelo di Cristo affermare che una determinata persona soffre a causa dei propri peccati. Gesù ha infranto questo “nesso karmico” attraverso la sua morte in croce: Egli, infatti, che era innocente ha sofferto affinché guardiamo alla sofferenza concreta di un fratello (e nostra) non più come la conseguenza di un castigo, ma come ciò che Dio permette affinché “si manifestino in lui le opere di Dio”.  Così, un fratello soffre non necessariamente a causa dei propri peccati, come sentenzia la legge del karma.

“Il Signore non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe” (Sal 103,10)

Gesù abolisce la “legge del karma” (rapporto causale peccato-pena) annunciando “il vangelo della Grazia”, in cui – pur nella consapevolezza che il peccato “danneggia” l’uomo – si afferma che il vero rimedio al male che c’è nel mondo non è l’applicazione rigorosa e implacabile di una giustizia retributiva, ma l’offerta “gratuita” e inaspettata di “bene maggiore” che disinnesca la catena del male. Il danno provocato dal male è vinto grazie a un amore che accetta anche di soffrire per amore del fratello, di “portare su di sé” il male che c’è nel mondo. L’uomo fa esperienza di questo sovrappiù di amore nella contemplazione della croce di Cristo. Come scrive san Giovanni: Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri!” (1Gv 4,11). Con stupore e commozione comprende l’inaudito significato di quelle parole già proclamate dal Salmista: Dio “non ci tratta secondi i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe!” (cfr. Sal 103,10). Gesù annuncia un Dio che ci ama veramente come un padre o una madre amano i propri figli! Nessuno si potrebbe salvare se venisse trattato da Dio secondo una giustizia meramente retributiva, sulla base dei propri meriti e dei propri peccati! Perciò, pur condannando con fermezza la malvagità del peccato, il credente in Gesù, guidato dallo Spirito Santo, cerca di essere misericordioso come il Padre, e si rapporta con il fratello amandolo di vero cuore e non trattandolo secondo i suoi meriti e le sue colpe. Ciò che ci salva è l’accoglienza – nella fede – della Grazia di Dio, cioè del suo Amore totalmente gratuito, che ci trasforma da peccatori a giusti, rendendoci capaci di camminare secondo i comandamenti di Dio. Come si legge nella Lettera agli Efesini –  “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siamo salvati!” (cf. Ef 2,4).

Naturalmente, rimane il fatto che l’uomo può sempre scegliere, in modo consapevole e libero, di rifiutare l’offerta di perdono da parte di Dio. In tal caso, non potrà che subire le conseguenze della giustizia, poiché – come visto – chi commette il male, “si fa male”.

 


Una volta posta questa distinzione fondamentale, consideriamo due conseguenze derivanti dall’affermazione generale che  le sofferenze umane sono causate dal “peccato” che c’è nel mondo:

    1. Laddove gli uomini si convertono e smettono di commettere peccati gravi e volontari molti mali possono essere evitati e attenuati.
    2. Non è Dio che manda “direttamente” i mali che causano sofferenza all’umanità. Essi sono invece causati dalla cattiveria umana e dal “disordine” dovuto al peccato che c’è nel mondo.

In che senso, allora, la Bibbia afferma che Dio invia “flagelli” nel mondo?

Se è così, perché la Bibbia afferma che è Dio che invia flagelli nel mondo a causa dei peccati degli uomini?

C’è da considerare prima di tutto che, se è vero che Dio non vuole direttamente le sciagure, tuttavia potrebbe impedirle: perché non lo fa? perché, ad esempio, non ha impedito l’attuale pandemia?

“Non cade foglia che Dio non voglia”

Nella Bibbia è forte la coscienza che l’universo e il corso della storia non rispondono semplicemente a leggi naturali o al “caso”: tutto è retto dalla Sapienza di Dio.  Tutto ciò che accade sotto il cielo – a parte il nostro peccato – accade nell’orizzonte della permissione divina dell'”Onnipotente”. Dio, in linea di principio, “non può” intervenire soltanto laddove è coinvolta la libertà umana, perché se lo facesse non saremmo più creature veramente libere. In tutto il resto potrebbe potenzialmente intervenire, ad esempio per impedire che avvenga una catastrofe naturale. In tal senso può essere considerato la causa remota di ogni accadimento sotto il cielo, o meglio, per dirla con gli scolastici, la “causa prima” di ogni cosa. 

 “Non cade foglia che Dio non voglia” – dice un noto proverbio, ma già sant’Agostino insegnava: «Non accade nulla che non sia l’Onnipotente a volerlo, o permettendo che accada, o compiendolo Egli stesso» (Enchiridion de Fide, Spe et Charitate liber unus, 95).

Perché Dio, che è buono, permette il male?

Alla luce di questo dato certo, è inevitabile che sia posta una domanda: perché Dio, che è buono e non vuole il male, permette che accada nel mondo?

Ecco l’acuta risposta dello stesso Sant’Agostino:

«Dio, essendo sommamente buono, non lascerebbe assolutamente sussistere alcunché di male nelle sue opere, se non fosse onnipotente e buono fino al punto da ricavare il bene persino dal male. […] Non c’è dubbio  che Dio opera [sempre]  il bene, anche quando permette che accada tutto ciò che di male accade. È solo per un giusto giudizio che Egli lo permette, ed è certamente buono tutto quel che è giusto»  (Enchiridion…, 11; 95). 

In altri termini, se Dio non impedisce un male – che riguarda ad esempio la vita fisica e la salute -, è solo perché da esso può trarre un bene maggiore, ad esempio in relazione alla salvezza dell’anima. In questo senso, se gli uomini non si convertono e non lasciano il peccato, Dio, essendo un Padre infinitamente buono, che fa tutto il possibile per salvare i suoi figli dalla perdizione eterna, nella sua ineffabile sapienza non impedisce che accadano avvenimenti dolorosi perché attraverso di essi gli uomini possano prendere coscienza del male che compiono, pentirsi e riconciliarsi con i fratelli e con Dio.

Tutto questo spiega il linguaggio che troviamo nella Bibbia relativamente ai “castighi di Dio” e il senso in cui possiamo dire che Dio invia dei castighi a causa dei nostri peccati. Non li invia Dio direttamente, ma nella sua somma sapienza, non impedisce che accadano in vista di un bene maggiore. In altri termini: non sono provocati dalla sua “volontà operativa”, ma dalla “volontà permissiva”. 

Viviamo con fede le prove che Dio permette – come l’attuale pandemia – rimanendo fedeli alla Chiesa di Cristo

Se è così, prima di tutto il credente è chiamato ad accogliere con fede gli avvenimenti della vita, fausti o infausti che siano, prendendoli sempre – per così dire – dalle mani stesse di un Padre provvidente, sapendo che tutto è disposto in vista di un bene maggiore e perché si manifestino le opere di Dio. Non è, invece, secondo il Vangelo la tendenza – ahimè diffusa oggi anche in ambienti cristiani dinanzi all’attuale pandemia – a reagire con allarmismi irrazionali, chiamando in causa teorie anticristiche del complotto e arrivando addirittura a giustificare la disobbedienza alla Chiesa, in nome di queste letture della realtà. Sappiamo bene che le forze del male agiscono sempre nel mondo e sono particolarmente agguerrite laddove l’uomo attraversa un tempo di prova. Ma la vicenda biblica di Giobbe ci insegna che, anche quando è all’opera il demonio, il credente deve ricondurre tutto soltanto a Dio, perché l’azione di satana e dei suoi adepti avviene sempre nei limiti imposti dalla Provvidenza divina!

La conversione è la “barriera” più efficace contro gli assalti del demonio

L’opera del diavolo, colui che odia l’uomo ed è omicida e menzognero fin dal principio, consiste principalmente nell’indurre l’uomo a commettere il male e quindi a “farsi del male”. Fa di tutto per distruggerlo, per portarlo alla disperazione in questa vita e alla dannazione eterna nell’altra.

Ma satana non ha potere su di noi – se non entro i limiti che Dio stesso gli impone – se ci convertiamo, cioè se consegniamo la nostra vita con libertà e piena fiducia al Padre, in Gesù e per mezzo dello Spirito Santo. La conversione evita perciò molti “mali” provocati dall’azione del demonio nelle persone allorché “non sono in grazia di Dio”, cioè sono separate dal suo Amore e dalla sua Verità. Chi volontariamente percorre la via del peccato si consegna nelle fauci di satana, che “come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare(1Pt 5,8). La conversione, infatti, è sempre una rinuncia al peccato e a satana e un affidarsi totalmente a Cristo, venuto “per distruggere le opere del diavolo” (cf. 1Gv 3,8).

Certo, il cammino di conversione non risparmia prove e tribolazioni, e nemmeno vessazioni demoniache (come è accaduto anche ai più grandi santi), ma chi cammina in comunione con Dio non smarrisce la pace perché sa che ogni sofferenza è disposta per la propria santificazione e quella dei fratelli e che la stessa azione demoniaca – come insegnava santa Caterina da Siena – è uno strumento paradossale nella mani provvidenti di Dio. Chi cammina nell’obbedienza alla Chiesa e quindi in comunione con Dio sa che se quando il Padre “pota” un tralcio è solo perché porti più frutto! (cfr. Gv 15,2) E questa consapevolezza cambia tutto e preserva dal turbamento e dall’inquietudine!

Viceversa, se preferiamo rimanere lontani da Dio rischiamo di “affogare nella palude dei nostri peccati” e di perire eternamente, come “rami secchi“, nel fuoco eterno della Geenna, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41).

Il linguaggio dei “castighi di Dio” nelle apparizioni mariane

Un linguaggio analogo a quello della Bibbia sul rapporto tra il peccato e i “castighi di Dio” è presente in alcune rivelazioni private, laddove il Cielo, attraverso la Santa Vergine, invita gli uomini a cambiare vita per scongiurare castighi imminenti.

Questo linguaggio, come si è visto, va inteso in rapporto al rifiuto libero dell’offerta di salvezza. Laddove l’uomo rifiuta di convertirsi e di aprirsi alla Misericordia divina, rimane in balìa del “male” che egli stesso ha scelto. Il Cielo, perciò, fa di tutto per invitarlo a “lasciarsi riconciliare con Dio” (cf. 2Cor 5,20) e quindi con i fratelli, prima che sia troppo tardi, e vada incontro a quella condizione eterna di perdizione, che la Bibbia chiama “inferno”. Il rimedio all’inferno è la fiducia illimitata nella Misericordia di Dio che si manifesta, nel modo più alto, nel “Cuore di Gesù”, a cui ci conduce l’amore materno della Madre di Dio e il suo Cuore “Immacolato” (non segnato dal peccato e dal male, a differenza di ogni altro cuore umano).

Ad esempio, la Madonna a Fatima il 13 luglio 1917 dice ai tre pastorelli:

«Avete visto l’Inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarli Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se si fa quello che vi dico molte anime si salveranno, ci sarà la pace. La guerra finirà. Ma se non si cessa di offendere Dio allora sotto il regno di Pio XI ne comincerà un’altra peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta allora sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per punire il mondo dei suoi delitti per mezzo della guerra, della carestia e delle persecuzioni contro la Chiesa e il Santo Padre…»


Alla luce di quanto detto, allorché leggiamo che “Dio sta per punire il mondo” “per mezzo della guerra” non dobbiamo intendere che la guerra è voluta da Dio! Non è provocata dalla sua “volontà operativa”! La guerra è provocata dalla malvagità umana e dal peccato che “regna” nel cuore di tanti uomini. Tuttavia, la guerra accade nella “volontà permissiva” di Dio come estremo rimedio perché gli uomini si convertano ed evitino l’inferno.

Un’altra apparizione riconosciuta dalla Chiesa in cui il linguaggio del “castigo” è particolarmente presente è quella del 1981-82 a Kibeho in Rwanda (vedi QUI un articolo sull’appello alla conversione della Madonna a Kibeho per evitare immani castighi).

Il 15 agosto 1982 la Vergine Addolorata, tra le lacrime, consegnò alla veggente Nathalie il seguente drammatico messaggio:

“Il mondo va assai male, e se voi non fate nulla per pentirvi e per rinunciare ai vostri peccati, guai a voi! È proprio questo che continua a farmi male, perché io voglio liberarvi da un baratro perché voi non vi cadiate… ma voi rifiutate! Raddoppiate quindi lo zelo, figlia mia, per la preghiera in favore del mondo, affinché i peccati diminuiscano e siano perdonati a coloro che lo desiderano”. 

Per concludere, un esempio che può aiutare a cogliere il nucleo di questa riflessione.

Dinanzi a un malato che rischia di morire, un buon medico dapprima prova con i rimedi meno invasivi e dolorosi, sperando che siano sufficienti. Ma allorché questi appaiono insufficienti, interviene con un rimedio estremo, un’operazione chirurgica, anche qualora essa comporti un grande dolore o l’asportazione di organi, purché il paziente non muoia e ritorni in buona salute.

Similmente, l’Altissimo, Medico divino delle nostre vite, dispone ogni accadimento perché possiamo allontanarci dal peccato, causa della nostra “rovina”, e perché possiamo convertirci, accogliendo – per mezzo della fede – il suo Amore infinito e la sua opera di salvezza.

 

«Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina… Convertitevi e vivrete» (Ez 18,30.32).

Don Francesco Pedrazzi